All’incirca fino all’anno Mille, Forlì si trovava su una sorta di isola, delimitata dai fiumi Montone e Rabbi. La tradizione vuole che, per ovviare alle frequenti inondazioni che devastavano la città, venne regimentato il ramo urbano del Rabbi per creare il Canale di Ravaldino.
In epoca medievale l’intero tratto cittadino del canale scorreva a cielo aperto, tranne nel punto in cui lambiva il Palazzo del Comune e della Signoria in cui era stato coperto, nel 1459, per volere di Cecco III Ordelaffi, dando origine al porticato tuttora esistente.
Ai tempi di Caterina Sforza, oltre ad alimentare il fossato della Rocca di Ravaldino e ad avere funzioni legate alla vita quotidiana della popolazione, serviva mulini e opifici che ne sfruttavano il corso per imprimere forza motrice a macine e pale. Definito dallo storico Gianluca Brusi la “spina dorsale della città”, nel secolo scorso il canale è stato quasi interamente coperto, tranne nel breve tratto in cui scorre tuttora a cielo aperto sotto un edificio di moderna costruzione in via del Canale (di Ravaldino), a fianco della sala San Luigi, in via Luigi Nanni.
Dalla chiusa di Fiumana, posta a monte, in direzione Predappio, alla confluenza nel fiume Bidente a Coccolia, in direzione di Ravenna, il Canale di Ravaldino ha una lunghezza complessiva di circa 23 chilometri. Il dislivello fra l’ingresso alle mura di Ravaldino e l’uscita alle mura del Pelacano è di 12,48 metri. Con opportuni interventi di messa in sicurezza potrebbe tornare percorribile nella sua parte cittadina per 1.895 metri, consentendo di attraversare Forlì nel sottosuolo, da Porta Ravaldino fino all’estremità nord orientale del centro storico (via della Grata).